Culture + Arts > More

February 26, 2024

La grande mostra “Sciamani” in Trentino: un viaggio immersivo al confine tra mondi

Francesca Fattinger

La natura va difesa dalle radici, quelle dell’uomo che pianta e si pianta dai piedi, sulla terra e nella terra.
Antonio Avossa, da “Joseph Beuys, Difesa della natura”

Che cos’è lo sciamanesimo? Chi sono gli sciamani e le sciamane invece? Me lo sono chiesto molte volte. Molte volte mi è stato più facile trovare risposta nell’arte contemporanea più che da altre parti. Forse per mia attitudine o forse perché, come dimostra la mostra che sto per introdurvi, gli artisti e le artiste contemporanee hanno la capacità di anticipare mondi e situazioni possibili, sanno riparare ferite sociali o anche semplicemente farci affacciare sugli abissi che l’essere umano sta scavando più o meno consapevolmente dietro, davanti e attorno a sé, o forse ancora perché hanno la capacità di recuperare memoria, d’intrecciare tempi passati, futuri e immaginati, sanno salvarci dal violento progredire della storia e darci la possibilità di “pensare un mondo in comune”.

Sciamani_Palazzo Albere_9_Matteo De Stefano

“Sciamani”, aperta fino al 30 giugno, è una grande mostra che non lascia dubbi: il suo intento è portarci a contatto con l’”invisibile”, come spiega il sottotitolo della sezione ospitata a Palazzo delle Albere, grazie alle esperienze di “ponti” tra mondi, che gli sciamani e le sciamane hanno praticato e continuano a praticare. Quell’”invisibile” allora si trasforma e riusciamo a immaginarlo, visualizzarlo, addirittura ascoltarlo, anche abitarlo, attraverso un viaggio immersivo che si nutre proprio dello sconfinamento tra discipline diverse, dall’antropologia all’etnografia, dalla psicologia all’archeologia fino all’arte, per andare alla scoperta di luoghi, riti, linguaggi e oggetti di quelle culture (in particolare mongole e siberiane) che ancora oggi praticano lo sciamanismo. 
È una mostra molto importante anche perché per la prima volta vede la collaborazione di tre importanti sedi museali della Provincia autonoma di Trento: il MUSE – Museo delle Scienze di Trento, il Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, e il METS – Museo etnografico trentino San Michele. 

Sciamani_Palazzo Albere_6_Matteo De Stefano

L’esposizione in tutte e tre le sedi ruota attorno alla collezione e all’esperienza della Fondazione Sergio Poggianella con oltre cento reperti e manufatti provenienti da Cina, Siberia e Mongolia che consentono di indagare il tema nella sua totalità e complessità. Si tratta di elementi rituali, come abiti, tamburi e maschere inquietanti, che il collezionista ha negli anni raccolto e che per la prima volta vengono resi visibili in modo così massiccio in Italia. Se al METS con il titolo “Sciamani. Téchne, spirito, idea.” questi oggetti vengono esposti mescolati tra gli strumenti della vita e del lavoro nelle valli e hanno dato ispirazione a 11 artisti per altrettante installazioni, a Palazzo delle Albere due sono i piani in cui si articola la mostra. Al primo piano, come spiega Luca Scoz, curatore del MUSE, si affronta il tema dello sciamanesimo in diverse accezioni: si parte dall’antropologia, per esplorare in particolare il fenomeno nelle regioni della Siberia e della Mongolia, ma non ci si limita a questo, perché poi il tema esplode arrivando a interrogarsi sulla possibilità che nella preistoria esistessero già forme di sciamanesimo o anche entrando nel campo delle scienze cognitive e indagando la pratica della trance e di come il cervello elabori stati alterati di coscienza. Lo sciamanesimo è un fenomeno complesso e la sua complessità risiede nel fatto che, tra le altre cose, non si sa quando e dove sia nato. Esistono forme di sciamanesimo e pratiche sciamaniche in moltissime zone del mondo, spesso con tratti simili o affini, ma allo stesso tempo ogni forma di sciamanesimo, ogni pratica e ogni sciamano ha una propria autonomia, una propria unicità che è legata al contesto di appartenenza. La mostra nello specifico, come anticipato precedentemente, si concentra sull’area dell’Asia centrale, della Siberia e della Mongolia. 

Sciamani_Palazzo Albere_8_Matteo De Stefano 

Ma quindi ritornando alla domanda iniziale: lo sciamano chi è? Un mago, una guida spirituale pratica, un mediatore tra il mondo dei vivi e il mondo degli spiriti, capace di operare in uno stato alterato di coscienza e influenzare il corso degli eventi? L’etimologia del termine “sciamano” è anche in realtà per certi versi ancora incerta, tradizionalmente si fa risalire al termine “saman”, che nella cultura tunguso siberiana viene utilizzato per indicare “colui che conosce”. Sicuramente è un profondo conoscitore dei rimedi della foresta e della medicina ed è una sorta di eroe culturale, un punto di riferimento per la collettività e forse potremmo dire, proprio perché è in grado di esorcizzare le paure del gruppo, si potrebbe pensarlo anche come una sorta di psicanalista ante litteram. 

Sciamani_Palazzo Albere_5_Matteo De Stefano

Al secondo piano si assiste alla rimessa in gioco di questi temi, con la volontà di affrontare il tema senza appiattirlo a facili stereotipi ma allargandolo, per quanto possibile, attualizzandone le conseguenze “facendo sì che gli e le artiste presenti in mostra diano un contributo originale, utile sia al discorso di attualizzazione dello sciamanismo, che ha origini antichissime nella storia umana, sia ai dibattiti più attuali all’interno della società contemporanea”, come spiega Gabriele Lorenzoni, curatore assieme a Massimiliano Nicola Mollona, della sezione della mostra dedicata all’arte contemporanea.

Sciamani_Palazzo Albere_4_Matteo De Stefano

Ventisei le artiste e gli artisti in mostra, selezionati su scala globale, tra artiste e artisti storicizzati e altri più giovani, e che spaziano in termini di media, dalla pittura alla scultura, fino al video, alla fotografia e alle installazioni: Franco VaccariAlighiero BoettiDaniel SpoerriAngelo FilomenoAttilio MaranzanoClaudio CostaBracha Ettinger, Louis HendersonRamon CoelhoSuzanne LacyKarrabing Film CollectiveBen Russell, Chiara CamoniSi OnDavid Aaron AngeliAllan GrahamMali WeilAnna PerachMaría SojobAlexandra Sukhareva e Alisi Telengut.

Nessuno di loro guarda allo sciamanismo per semplice moda o come stimolo meramente visivo e formale, ma tutti con diverse porte di entrata e connessioni personali al tema si legano in profondità con il mondo sciamanico, per affinità di vedute o per un atteggiamento che ad esso è riconducibile. In particolare emerge la questione ambientale che viene affrontata fin dalla prima sala con l’”artista sciamano” per eccellenza: Joseph Beuys. Quasi come nume tutelare apre la mostra e indica la via con l’opera “Grassello” che ci fa entrare nel suo mondo, un mondo costruito passo a passo dall’artista “in difesa della natura”, in cui emergono molti aspetti fondamentali per l’artista: tra cui la “chimica dell’incontro, la collaborazione e la naturalità dei processi creativi”. Nel 1978 infatti Beuys per il restauro di casa sua a Düsseldorf decide di adoperare un tipo di calce italiana chiamata “grassello”, importandola da Foggia: il soggetto dell’opera consiste proprio nel viaggio che la calce italiana deve intraprendere per unirsi all’acqua tedesca per portare a compimento la sua trasformazione. Eccolo l’incontro: due sostanze si uniscono per dar vita a una reazione chimica, la calce, che rappresenta la roccia e che rappresenta a sua volta la montagna, si unisce all’acqua che rappresenta invece la fluidità della vita e del mondo. Ed ecco anche l’importanza data alle collaborazioni, perché il viaggio è documentato da Buby Durini nel volume che diventa così parte integrante ed essenziale di questo lavoro.

Sciamani_Palazzo Albere_7_Matteo De Stefano

Ogni opera, come detto, permette una connessione al tema sciamanico a diversi livelli, vi suggerisco l’incontro con alcune degli artisti e delle artiste in mostra che per tipologia di medium usato o che per il tipo di ricerca mi hanno toccato. Una fra tutte è Chiara Camoni, ora esposta con una mostra personale all’Hangar Bicocca di Milano, la sua sala è percorsa da una leggerezza sottile, da una fragilità che attraversa le sue opere che delicate suggeriscono incontri e rituali tra mondi. Si è accompagnati al confine di incontri sussurrati in cui si mescolano i bordi di regni organici e inorganici, domestici e naturali, umani e vegetali. Le sue “Sculture-fischietto” in terracotta nera etrusca vibrano di armonie silenti che riecheggiano tra di loro in coro, come falene chiamate a un raduno per insegnare all’essere umano a librarsi in volo e a elevarsi, mentre attorno le tre opere del ciclo “Big Sisters”, collane omaggio per gigantesse, divinità ancestrali e naturali, assemblate manualmente con conchiglie, fiori, gusci e semi, fanno da cornice a questo incontro.

Sciamani_Palazzo Albere_3_Matteo De Stefano

Nella sala in cui è presentata l’opera “Balkan Baroque” di Marina Abramović, performance eseguita in occasione della Biennale di Venezia del 1997, in cui l’artista, in un rituale di purificazione di sé e dell’umanità per le stragi nei Balcani, ripuliva un cumulo di ossa di bovino, dalla carne e dalla cartilagine, un arazzo monumentale colpisce la mia attenzione “Divina et Devorator” del collettivo Mali Weil risuona ricamato tra le sue trame: è un manifesto, il manifesto per un cambiamento di paradigma in cui l’essere umano viene fatto scivolare giù dal piedistallo tipicamente occidentale che lo erge in cima alla catena alimentare per porlo assieme alle altre specie. Nessuna di esse è pensata al servizio di un’altra, ma invece sono tutte entità paritarie all’interno del sistema. Questo riallineamento orizzontale inter-specie parte anche dalla messa in crisi di uno dei più tabù più radicati e cioè che il corpo umano possa divenire nutrimento per altre creature alla fine del suo ciclo vitale. Per la Diplomazia Interspecie, per cui è stata fondata dal collettivo, assieme agli Studi Licantropici, un’istituzione performativa e concettuale, oltre che un vero luogo di confronto e dibattito culturale, la divorazione è un passaggio necessario per creare alleanze in un territorio e creare poi una comunità. L’arazzo diventa quindi un appiglio per entrare nella multiforme, multidimensionale, interdisciplinare e ibrida visione dei Mali Weil che smonta paradigmi, tabù e mondi per ricostruirli democraticamente e liberamente alla ricerca di nuovi ecosistemi naturali, sociali e politici, integrando i linguaggi e le pratiche senza soluzione di continuità: film, performance, design, installazione, ma anche pratiche discorsive ed editoriali, programmi curati, workshop e scrittura. Nel film “Rituals” si possono seguire tre diversi rituali articolati intorno ai temi del corpo, del linguaggio, della divorazione e della morte, del sogno. I punti di vista sugli eventi narrati sono due: su eventi e temporalità umane e sulle ‘storie’ di Altri (animali, montagne, paesaggi, piante) che, pur coesistendo con la dimensione umana, hanno temporalità, suoni e schemi relazionali diversi.

Sciamani_Palazzo Albere_2_Matteo De Stefano

Mi sembra un bell’aggancio per riflettere anche sull’opera di Suzanne Lacy, in cui l’artista americana unisce la figura dello sciamano a temi femministi, a culti di stregoneria e a pratiche rituali femminili, in cui il tema della trasformazione del corpo, il cannibalismo e l’estasi sessuale erano il bersaglio dell’Inquisizione del Cinquecento. Con il proprio corpo nudo e con la combinazione di pose e parole, l’artista, rivendicando l’autocontrollo sul proprio corpo, mette in discussione le nostre ipotesi di differenza con il regno animale: dove sta il confine tra una coscia di pollo e una umana? Quando siamo di fronte a un atto di cannibalismo? L’artista con ironia esplora così la relazione tra identità e corpo, tematiche di genere e linguaggio.
Infine un accenno a uno degli interessanti video in mostra, che ci riporta al tema del suono, accennato con l’opera di Chiara Camoni, e che ritorna come aspetto fondamentale delle pratiche sciamaniche. “Trypps #7 (Badlands)” di Ben Russel racconta l’esperienza di una giovane donna sotto effetto di sostanze psicoattive: la si vede in mezzo alle montagne rocciose del Badlands National Park negli Stati Uniti. Un suono acuto e distorto accompagna le immagini a loro volta acute e distorte costruite, come si svela solo gradualmente, attraverso l’uso di uno specchio: un modo per far entrare spettatori e spettatrici a contatto con questo stato di alterazione, tipico del mondo sciamanico, che spesso tramite il suono e il ritmo incessante cerca di raggiungere l’alterità, ma anche un possibile collegamento con l’ambiguità del cinema che di quella sospensione e di quell’illusione si nutre.

Credits: (1-7) Matteo De Stefano

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.